Nel cammino della crescita personale e spirituale, ci sono virtù che ci accompagnano come fedeli alleate, capaci di sostenerci nei momenti difficili e di illuminare le scelte più importanti.
Tra queste, possiamo senz’altro riconoscere:
una mentalità aperta, capace di accogliere il nuovo e l’inaspettato,
la sincerità con sé stessi, senza la quale non esiste vera evoluzione,
la responsabilità, intesa come la consapevolezza profonda di essere autori della propria esistenza.
Queste virtù rappresentano le fondamenta del nostro successo, inteso non come conquista esterna, ma come realizzazione autentica del proprio Sé.
Ma ogni virtù, così come ogni archetipo, ha il suo lato ombra.
Lo sappiamo bene: l’apertura può diventare dispersione, la sincerità può farsi giudizio spietato, e la responsabilità può sfociare in senso di colpa.
È proprio per questo che oggi voglio soffermarmi con te su una virtù troppo spesso fraintesa o liquidata con superficialità: l’ottimismo.
Il vero ottimismo, quello profondo, autentico, radicato nell’anima, non è la fuga dalla realtà né una maschera per coprire il dolore.
L’ottimismo è fede incrollabile nelle possibilità dell’essere umano.
È la convinzione che dentro di noi ci sia una sorgente inesauribile di risorse, anche quando tutto sembra crollare. È il coraggio di guardare le difficoltà negli occhi e scegliere, ogni giorno, di creare valore.
Nella tradizione buddista si insegna che è l’Io a trasformare la realtà e a creare nuovo valore. Un principio chiave è quello di trasformare il veleno in medicina: ogni ferita, ogni ostacolo, ogni perdita può diventare materia prima per un salto di coscienza, per un’evoluzione che non è solo personale ma collettiva.
Come insegnante di tecniche sciamaniche posso dirti che l’ottimismo non nasce dalla mente razionale, ma da un radicamento spirituale profondo. È l’atto alchemico di trasmutare l’ombra in luce, la paura in potere personale, la crisi in visione.
La trasformazione spirituale si basa su una premessa imprescindibile: il libero arbitrio.
Possiamo ispirare, accompagnare, sostenere, ma non possiamo trasformare nessuno al posto suo. Nemmeno chi amiamo con tutta l’anima.
Ignorare questo principio ci espone al dolore, all’impotenza, e a un’illusione pericolosa: quella di essere i salvatori della vita altrui. Eppure se ci riusciamo, ci sentiamo onnipotenti; se falliamo, ci sentiamo colpevoli.
È un gioco tossico, che mina il nostro valore e spegne il nostro ottimismo.
In realtà, voler “salvare” gli altri spesso nasconde il bisogno inconscio di sentirsi indispensabili, amati e accettati. Ma l’amore non nasce da una dipendenza: fiorisce nella libertà.
Epitteto ci lascia un dono prezioso con queste parole:
Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose.
È qui che nasce il vero potere dell’ottimismo: nella capacità di cambiare visione. Non possiamo controllare tutto ciò che ci accade. Ma possiamo decidere come guardarlo.
Possiamo scegliere uno sguardo che costruisce invece di distruggere. Uno sguardo che, anche davanti all’ingiustizia o al dolore, cerca il senso più profondo e si lascia attraversare senza perdersi.
Questo è ottimismo: non negare la realtà, ma trasformarla attraverso la conoscenza.
L’ottimismo non è una predisposizione genetica, ma una pratica quotidiana, un allenamento dell’anima.
È il frutto della conoscenza di sé, del rispetto dei propri tempi e dei propri limiti, della volontà di imparare sempre, anche nei momenti più bui.
Scegliere l’ottimismo significa onorare la propria umanità e smettere di combattere contro di essa.
Significa fidarsi della vita, senza rinunciare alla propria voce.
Significa guardarsi allo specchio e sussurrare: anche oggi posso trasformare il veleno in medicina.
La prossima volta che ti troverai di fronte a una difficoltà, domandati da dove puoi iniziare e cosa puoi fare per guardare la situazione in un altro modo.
Ed io ti domando, incece: in quale piccola parte della tua vita puoi scegliere di credere ancora nel possibile?
E se avrai bisogno di un sostegno,