Questa domanda ritorna ciclicamente nella vita di ciascuno di noi, spesso in silenzio, altre volte come un urlo sordo dentro al cuore. È una di quelle domande che non passano mai di moda. A volte la seppelliamo sotto mille impegni, altre la lasciamo emergere tra una crisi e l’altra. Ma lei è sempre lì.
Stamattina mi sono svegliata con una frase che suonava nella mia mente come un ritornello, uno di quelli che senti una volta e non riesci più a toglierti dalla testa:
Non insegnare a nessuno quello che tu non vorresti essere.
Una frase potente. Uno specchio. Un invito silenzioso a guardarmi dentro e a farmi, ancora una volta, la domanda delle domande:
Cosa posso fare per essere felice davvero?
Negli anni ho compreso che la risposta a questa domanda non arriva mai dalla teoria, ma sempre dall’esperienza. E l’esperienza più intensa, trasformativa, a volte scomoda ma sempre autentica, sono le relazioni.
Sono loro la vera palestra della vita, l’unico campo di addestramento dove possiamo allenarci a vivere con presenza e con cuore aperto per scoprire la nostra realtà. Non c’è scorciatoia: è nelle relazioni che impariamo chi siamo davvero, che scopriamo le nostre ferite e anche le medicine per guarirle.
In questo periodo della mia vita, così affascinante e a tratti assurdo, ho messo in discussione diversi aspetti di me stessa.
Ogni volta che cresciamo, siamo chiamati a seminare qualcosa di nuovo. E ogni semina porta con sé nuove cure, nuovi raccolti, ma anche nuove fatiche.
Mi sono sentita inadeguata in alcune relazioni, ho provato disagio, e la mente ha iniziato a fare mille giri a vuoto. Dentro di me convivevano due versioni: una pacifica e serena, l’altra furiosa e in tumulto. E ho lasciato che si esprimessero entrambe.
Quando tocchiamo le nostre certezze, quando il cambiamento bussa forte alla porta della mente, ecco che l’ego entra in scena. E lo fa con maestria. Il suo compito è mantenerci piccoli, impauriti, insicuri. È bravo, lo ammetto.
L’ego non ama la pace, a meno che non sia momentanea. Lui vuole il dramma, il giudizio, la separazione. E la sua frase preferita è questa: “Cerca, ma non trovare", un modo raffinato per dire: “Non allontanarti troppo da me.”
E così ci ritroviamo a cercare risposte che già conosciamo, a scavare pozzi senz’acqua, a lottare contro nemici invisibili.
Quando invece la vera rivoluzione accade quando ci fermiamo. Quando riconosciamo che il problema, a volte, è la soluzione travestita.
Essere felici non significa non soffrire mai, non avere dubbi o smettere di sbagliare.Significa invece accogliere la complessità della vita con uno sguardo più ampio, scegliere la determinazione che apre nuove strade e l’abbandono che guarisce le vecchie ferite.
La felicità ha bisogno di due forze:
La forza del guerriero che sceglie di cambiare rotta
La dolcezza del guaritore che accarezza e cura le cicatrici
E quando riusciamo a muoverci tra queste due polarità, accade un piccolo miracolo: le relazioni si trasformano, la mente si calma e il cuore torna a respirare.
Una delle cose che ho compreso lungo il mio cammino, è che gli amici nuovi arrivano quando smettiamo di corteggiare i nemici.
Quando smetti di inseguire chi ti rifiuta, chi non ti vede, chi ti giudica, e inizi a guardare chi ti guarda con amore, cambia tutto.
Perché la felicità nasce quando iniziamo a guardarci con gli stessi occhi con cui vorremmo essere guardati, e smettiamo di chiedere agli altri quello che non siamo disposti a darci.
La meta non è diventare perfetti, ma imparare ad amare con un cuore impavido, non più come bambini spaventati, ma come adulti consapevoli, che scelgono l’amore anche quando fa paura.
Fermati. Respira. Riconosci il punto da cui parti.
Scegli relazioni che ti nutrono e non quelle che ti prosciugano.
Abbandona la lotta contro te stesso: sii alleato della tua parte fragile.
Ama con coraggio.
La felicità non è per chi scappa, ma per chi resta, guarda, accoglie.
Questa è la via che conosco, quella che pratico ogni giorno, e che insegno nei miei percorsi. Non ha formule magiche, ma ha verità profonde.
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