domande per curare
21 febbraio 2020

«Forse non siamo destinati stare insieme» Sai qual è la parola chiave di questa frase così sfruttata da essere diventata un modo di dire? Destinati. Quando decliniamo la responsabilità al caso, al destino o alla fortuna, stiamo perdendo di vista noi stessi.

A mani basse non si dovrebbero mettere da parte neppure gli oggetti, figuriamoci le persone. Ogni separazione lascia sempre un segno, lieve o profondo. Eppure la facilità con cui decidiamo di prendere in fretta le distanze sembra essere il modo con cui viviamo attualmente le relazioni.

Abbiamo dimenticato come prenderci cura dell’altro, e non intendo solo “fisicamente”. La cura di cui parlo è quella dell’anima e può essere risvegliata solo cominciando col nostro risveglio personale. Non può funzionare il restare a forza in una situazione perché non so dove andare, perché ho paura della solitudine, perché ci sono i figli etc. Prima della separazione c’è da capire «come» sto nella relazione, altrimenti il rischio che si corre è quello di ripetere l’esperienza.

FACCIAMOCI QUALCHE DOMANDA

Benedette e utili domande, che ci possono venire in aiuto. Come queste per esempio.

La diversità che inizialmente mi ha fatto innamorare, come mai ora mi infastidisce? Da dove arriva tutta questa gelosia che mi prende di tanto in tanto e mi fa frugare nelle sue cose? Mi accorgo quando carico il partner di una responsabilità che dovrebbe essere solo mia? Ho uno sguardo superficiale o intimo rispetto alla relazione fisica, mentale e spirituale? Mi sento in colpa o sono triste per la sua infelicità? Ne conosco la motivazione profonda? Sono consapevole che il malessere del mio partner può diventare un punto di forza per entrambi?

Quando rispondiamo a nuove domande, apriamo la mente a nuove prospettive. Il fatto è che spesso non sappiamo come fare perché non ce lo hanno insegnato, e così continuiamo a percorrere il solco conosciuto senza l’ambizione di prepararne un altro più conveniente per noi. Perché fanno paura le novità. Molto meglio e più veloce la separazione. E poi denigrare e gettare fango sull’altro.

Eppure sono infinite le strade che si palesano nel momento in cui entriamo nel mondo fantastico di quando eravamo bambini, e il reale e la fantasia non avevano una linea di demarcazione. Qualcuno ci ha insegnato a notare le differenze, ed è un bene. Ciò che non è bene è averle messe a paravento dell’immaginazione. È così che le infinite sfaccettature da usare per vivere la vita diventano uno o due al massimo: quelle che ci sono state tramandate in eredità dalla nostra famiglia d’origine.

Se ci dev’essere una separazione, possiamo fare in modo che sia intelligente, comprensibile, piena di ricordi e utile per tutte le persone coinvolte. Si può fare, andando oltre la rabbia e la paura e cominciando ad avere più cura di noi stessi. D’altronde, c’è un solo modo per conoscere gli altri ed è partire da noi. E sai quale potrebbe essere la novità? Scoprire che è molto più simile a noi di quanto potevamo immaginare. Non nella forma: nella sostanza, nei bisogni, nelle difficoltà che vive ogni giorno.  

Quando portiamo le relazioni dalla separazione all’unione, scopriamo parti di noi che avevamo dimenticato o non osavamo prendere in considerazione o che non volevamo vedere perché troppo dolorose.

Non c’è un solo frammento isolato in tutta la natura, ogni frammento fa parte di un’unità armoniosa e completa (John Muir)

Possiamo partire da qui. E se hai voglia di approfondire e magari avere qualche strumento in più da mettere nella tua cassetta degli attrezzi, puoi andare in Seminari o Eventi in Programma

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unsplash-logoHanna Morris">Foto di Hanna Morris su Unsplash

Lucia Merico

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